Il problema ebraico

 

L'articolo che segue, a firma di Giuseppe Pensabene, apparve su "Il Tevere" di Roma del 1-2 luglio 1941. (dal sito di matematica dell'Università Bocconi di Milano)

Esso è l'espressione esplicita di un sentimento che doveva essere ben più largamente diffuso di quanto non si sia voluto credere a posteriori nei confronti della questione dell'antisemitismo e rappresenta dunque un buon indicatore del clima intellettuale in cui Fermi maturò la decisione di lasciare l'Italia.

La scienza e gli ebrei di Giuseppe Pensabene

Non è da oggi che si osserva da quelli che guardano nell'insieme lo stato delle scienze fisiche un crescente turbamento che sembra incepparle e comunque confonderne i propri e nitidi caratteri. Questi s'erano già formati in Italia: prima Leonardo e poi Galileo avevano ritrovato il modo (perduto fino dall'Antichità) di porsi davanti alla natura in un'attitudine riverente di osservatori e di sperimentatori anziché di raziocinanti, e di scopritori delle sue leggi anziché di ideatori di surrogati teorici della realtà. Una prima alterazione era poi venuta da Cartesio che aveva chiuso la natura in moduli matematici rendendo certo in tale modo l'osservazione più facile, (come davanti a provini già preparati in laboratorio), ma rendendo anche più soggettiva e arbitraria l'immagine del mondo che egli credeva d'osservare. Le vedute newtoniane sulla gravitazione universale furono il primo esempio di questo modo tutto matematico di concepire la fisica. Modo che durò fino oltre la metà del secolo scorso e che pure col suo difetto d'origine ebbe però come conseguenza di trasformare per intero la scienza in una tecnica; cosa certo utile per le applicazioni pratiche. E che lo sarebbe senza dubbio ancora oggi se una ulteriore alterazione non fosse a poco a poco intervenuta.

La quale consiste precisamente in questo. Il modulo matematico e insieme l'ipotesi, la teoria, elementi tutti arbitrari e mutevoli, dovuti non all'osservazione ma all'invenzione, e perciò adoperati soltanto in modo provvisorio e non come verità ma come strumenti per giungervi, hanno perduto in gran parte questo loro carattere e da mezzi sono divenuti scopi: dando luogo ad un giuoco cerebrale, staccato dalla realtà, privo persino della coscienza di questa, ed abituato ormai a confondere ciò che è convenzione e artificio con ciò che è osservazione e ciò che è soggettivo e volontario con ciò che è dato indipendente dal volere. Valga per tutti un esempio: da un pezzo oramai sono penetrati nella fisica i concetti della geometria pluridimensionale. Questa come tutti sanno non ha nessun legame con la realtà: è solo il risultato d'una convenzione che può farsi come non farsi senza che nessuna necessità lo imponga. Infatti ha solo per base un'analogia, cioè questa: nello stesso modo come ai numeri elevati alla seconda e alla terza potenza corrispondono nella realtà i quadrati ed i cubi così anche a quelli elevati alla quarta, alla quinta od alla ennesima potenza poniamo che corrispondano figure a quattro, a cinque o ad enne dimensioni. Siffatte figure nessuno mai le ha viste: appartengono ad uno spazio diverso e sconosciuto dal nostro: poniamo però che esistano. Ora una matematica così fatta potrà se mai seguirsi solo come una curiosa costruzione logica: ma il volere oggi adeguare ad essa persino la fisica che è per eccellenza scienza di osservazione, ed adeguarla in modo non che questa sia servita dalla matematica (come s'era fatto dopo Cartesio) ma che addirittura la serva anche nelle sue meno reali costruzioni, è già un segno d'evidente decadenza. Cosa che si è vista soprattutto in un'occasione: cioè quando lo scienziato Einstein ha creduto di potere dimostrare tra l'altro la validità di siffatta irreale matematica osservando la pretesa curvatura d'un raggio luminoso, proveniente da una stella lontanissima.

Il nome di Einstein non viene fuori di proposito. L'orientamento accennato della fisica non è infatti più antico d'un cinquantennio; ed è stato indubbiamente contemporaneo all'apparire anche in questo campo di personalità ebraiche, spesso divenute molto influenti per l'attitudine alla propaganda propria della loro razza; ed in ogni modo portate per istinto a questo modo di pensare. Nel quale il motivo cabalistico è a prima vista evidente. Una conoscenza anche superficiale degli antichi filosofi e matematici di quella nazione permette di rendersene conto. Per esempio si guardi ad uno dei cavalli di battaglia degli ebrei che oggi si occupano di fisica: cioè sopratutto alla fisica nucleare. Una costruzione in gran parte fondata sull'arbitrio; e intanto qual è il suo tema fondamentale? Quello dell'identità tra materia ed energia. Non pare di ritrovare le stesse vedute della Cabala, quelle cioè per cui il mondo non è che continua emanazione? Tipica d'altronde l'incapacità ebraica di guardare alla natura, cioè di osservare: che è stato invece il fondamento nel quale si è fino ad oggi sviluppata in Occidente la scienza. Gli ebrei teorizzano, non osservano: ecco una delle ragioni per cui la scienza decade. Giacché si trova come tante altre cose sotto l'influenza degli ebrei.

Tutto ciò considerato non mi sembra che abbia torto uno studioso, l'ing. G. Di Gaddo, del quale proprio in questi giorni ci è pervenuta una lettera e che ha osservato tra l'altro: esiste una scienza ebraica; cioè un modo ebraico di trattare o piuttosto di corrompere la scienza. Visto che ci siamo liberati sotto tanti aspetti dell'influenza degli ebrei perché non dare un occhio anche a questo? Cosa che a quel che pare ancora non si fa. Infatti, proprio in questi giorni, nella Rivista La Ricerca scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricerche è uscito al posto d'onore un articolo intitolato "La camera di Wilson dell'Istituto di Fisica di Milano" corredato da molte fotografie sul quale ecco come scrive il di Gaddo:"E' la descrizione d'un apparecchio ideato da un inglese che un tal Polvani ha fatto costruire per l'Università di Milano impiegando fondi forniti dal Consiglio delle Ricerche. L'apparecchio serve a ricerche di fisica giudaica come tutti sanno; vi pare che i denari del Consiglio delle Ricerche non si dovrebbero spendere meglio specie in questo momento?" In realtà scopo dell'apparecchio è di prestarsi alle ricerche sui raggi cosmici e alle infinite ed arbitrarie elucubrazioni alle quali danno luogo: campo anche questo adattissimo per la mentalità cabalistica e al tempo stesso pubblicitaria degli ebrei. Noi da parte nostra osserviamo: qual è il programma del Consiglio nazionale delle Ricerche? Incoraggiare quelle ricerche che per i loro eventuali sviluppi possano mostrarsi giovevoli alla vita nazionale. Non si può dire certo che queste siano di tale natura. E poi rispecchiano l'indole d'un'altra razza: distruttrice e sovvertitrice di qualsiasi vera ricerca. Per tale doppio motivo concordiamo con quanto ci è stato scritto dal Di Gaddo; e non troviamo opportuna l'iniziativa denunciata.

 
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    • Un numero della rivista diretta da Giorgio Almirante

    • Manifesto contro la scienza ebraica